mercoledì 26 novembre 2008

Il morso è il peccato originale

Leggete quest'articolo...ve lo posto perchè in più di un'occasione vi ho parlato di "True Blood", elogiandolo:



"Dopo American Beauty e Six Feet Under, Alan Ball ci regala una nuova personalissima visione dell’America e dei suoi sentimenti sommersi, in una chiave squisitamente horror e sensuale

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Alan Ball è uno degli sceneggiatori più interessanti del panorama americano degli ultimi dieci anni e non per il suo folgorante esordio per il grande schermo, quell’American Beauty che gli è valso addirittura un Oscar per la migliore sceneggiatura. Al contrario, Ball è stato uno dei maggiori fautori della legittimazione artistica delle serie televisive, grazie a quel grande capolavoro che porta il nome di Six Feet Under, cinque stagioni vissute a casa Fisher, becchini di mestiere ed esseri umani per vocazione, che hanno letteralmente rivoluzionato il concetto stesso di serialità.
Non voglio parlarvi di una serie che abbiamo già esaminato e per la quale vi rimando al magnifico articolo del nostro Adriano Aiello che potete trovare correlato qui di fianco, ma è indubbio il fatto che senza i Fisher non sarebbe potuto esistere True Blood, prodotto solo apparentemente di genere che racchiude un’anima ben più profonda e provocatoria.
Se in Six Feet Under veniva dissezionato il concetto stesso di famiglia, fatto a pezzi per poi essere ricomposto nello straordinario finale della quinta stagione, in True Blood l’outing della comunità vampiresca è il pretesto per dissezionare l’America stessa attraverso le sue paure, i suoi vizi e le sue ipocrisie.
Ambientato in Louisiana, nel profondo sud degli Stati Uniti, realtà che il georgiano Ball conosce bene, True Blood narra le avventure di Sookie Stackhouse, barista segnata sin dalla più tenera età dal suo dono (o condanna?) di poter leggere nelle menti delle persone e che riesce a trovare l’amore tra le braccia dell’affascinante vampiro Bill. Un incontro tra anime in pena costrette a combattere per la loro felicità, avversati sia dalla comunità umana che da quella dei figli delle tenebre, entrambe poco inclini a unioni miste considerate contro natura. Attorno a loro varia umanità cerca di trovare la propria strada in questo mondo, scoprendo che il prossimo tuo può riservare sorprese straordinarie.
True Blood è un meraviglioso affresco dell’America di questi anni, terrorizzata dal diverso e allo stesso tempo affascinata dalle novità che spesso arrivano da luoghi lontani e misteriosi. I vampiri, finalmente usciti allo scoperto grazie alla creazione del Tru Blood, un energy drink al plasma sintetico, sono la quintessenza delle paure americane. Potrebbero essere mediorientali, neri, ebrei, giapponesi, cubani, russi, alieni, il risultato non cambierebbe: sarebbero comunque dei misteriosi esseri potenzialmente pericolosi da evitare, allontanare, segregare e se possibile uccidere. L’ennesima variazione sul tema post Torri Gemelle, arricchito però da due elementi che fanno di True Blood una serie ai limiti della sovversione, morale e politica.
Prima di tutto l’incredibile sensualità della serie, un elemento insito nella mitologia vampiresca e che Ball non ha voluto assolutamente tralasciare, anzi, ha condito ogni episodio con amplessi selvaggi, animaleschi e incredibilmente eccitanti, ben più che una provocazione per l’ipocrita e puritana America repubblicana dell’era Bush. In seconda battuta l’assoluta mancanza di rispetto dei protagonisti per l’ordine costituito, contrapposto alla solidità delle tradizioni della comunità, un elemento ancora più disturbante nell’economia della serie che risulta in questo modo dichiaratamente anarchica e, di conseguenza, ancora più trasgressiva, come un blues suonato in una torbida e fumosa sala da ballo di New Orleans.
La figura del vampiro viene vista da Ball come la parte di noi stessi che non riusciamo a tirare fuori, per paura delle convenzioni, dell’opinione della gente, per il timore che qualcuno possa mettere all’indice dei comportamenti al di fuori del coro. Con pochi semplici elementi Ball fa tornare alla memoria i momenti più cupi della storia americana del Ventesimo secolo, dal Maccartismo alla segregazione razziale fino al Patriot Act. Ma non finisce qui, perché l’autore non trascura neanche le multinazionali, facendo del Tru Blood non un simbolo della liberazione di un popolo, ma un prodotto estremamente redditizio e con grandi potenzialità aspirazionali.
Tutto questo fa di True Blood una serie di rottura nel panorama televisivo, perché rappresenta una nazione malata in cui le persone vive sono quelle morte, vero motore culturale ed economico del paese, linfa vitale che i veri americani cercano paradossalmente di vampirizzare, bevendo a loro volta il loro sangue in cerca di una via di fuga, dalla crisi economica, dalla situazione politica e dalle guerre senza fine in cui questo prezioso liquido viene ogni giorno, da troppo tempo, inutilmente versato.
Un vampiro non lo farebbe mai. Il sangue è la vita."

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